Eccomi.
È la notte dell’equinozio di autunno e scrivo a te, che leggerai le mie parole.
Sono qui, tra le braccia del mio malinconico settembre, coccolata dallo sciabordio del mare e disturbata da tutti quei rumori che la notte amplifica e che mi irritano, come una mosca, con il suo ronzio, in questo intimo, penetrante ascolto del mio io.
Nulla di ciò che leggerai è stato difficile quanto questa prima pagina.
Per presentarti, a dovere, le mie parole avrei dovuto far indossare ad esse il vestito delle feste: prezioso, luccicante, impeccabile.
Il mio scrivere, invece, è foddi, sciancatu, lurdu, scattiatu.
Esso è respiro e urlo, insieme, è disìo e piacere, è mancanza, è tracotanza, è rabbia e amore, è sesso e spirito, è anarchia e preghiera, è canto e silenzio, è ribellione e scoperta, è pianto e riso, è tana e fuga, è stupore e stanchezza, delicatezza e volgarità, è malattia e vita.
In esso vi sono i cunti di mio padre e lo sfantasiari di mia madre.
La mia scrittura è Sicilia.
La mia scrittura sono io.
Essa è tutto e niente, insieme.
Vorrei che, tu, che leggerai, tra questo tutto e niente, mentre cerchi me, trovassi, nascosto e rannicchiato tra una parola e l’altra, te stesso.
Se questo libro è arrivato tra le tue mani è perché qualcuno ha creduto nella potenza delle mie parole e tu sei qui, pronto a sperimentarla.
Grazie, di cuore…
