COLLANA: NARRATIVA

Autore: Renato Schembri

Copertina: Maurizio Vetri


Formato: 15x21 cm - brossura  - 288 pagg

isbn 979-12-81306- 03-5

Prima edizione: Marzo 2023

Prezzo di copertina: Euro 22,00


Presentazione

 

La questione dello sguardo e del punto di vista è ancora oggi uno dei motivi più discussi fra gli studiosi di narratologia. Se nell’Ottocento il romanzo tende a impiegare prevalentemente la narrazione esterna a focalizzazione zero, che organizza la materia dominandola con la propria interpretazione, con la letteratura verista alcuni scrittori adottano un particolare tipo di narrazione, che prevede l’eclissi dell’autore e la regressione a un punto di vista interno, spesso corale. È l’inizio della crisi del grande romanzo e del patto fra autore e lettore, ma è pure la verifica della frammentazione dell’io e del problema di come lo scrittore avrebbe dovuto disporre i suoi materiali, nel solco di una rappresentazione predeterminata, per dare conto – senza coartarli a una totalità impossibile – del conflitto interiore, cioè a dire dell’ontologica destrutturazione del punto di vista come sostanziale complessità di sguardi in capo a ogni singolo personaggio. Un rapporto mostruoso, dell’uno che contiene i molti. La questione, in verità, era stata risolta dalla stessa letteratura – in un modo che la critica ha poi tardato a decodificare – attraverso l’uso della focalizzazione interna e della narrazione in prima persona: Fëdor Dostoevskij con le Memoria dal sottosuolo (1864) e Mark Twain con Le avventure di Huckleberry Finn (1884), cioè dai primi tentativi di monologo interiore alle sue forme di estremizzazione esplicita; e, sulle orme della psicanalisi e dei primi studi seri sull’inconscio da parte di Sigmund Freud, l’invenzione del flusso di coscienza con Les lauriers sont coupés (1887) di Edouard Dujardin, fino ai tentativi più tardi e radicali di James Joyce.

La chiave di lettura più originale di questo romanzo di Renato Schembri è proprio nel rapporto con un preciso punto di vista, e, soprattutto, con la posizione e la distanza dello sguardo. Con questo non mi riferisco all’Autore, cioè a un individuo storico concreto, ma al narratore che racconta gli eventi in prima persona, che è però un artificio, una costruzione fittizia interna al romanzo stesso. Schembri compie la scelta più esplicita del cosiddetto narratore autodiegetico, che coincide con la protagonista della vicenda, e lascia che sia lei a dare un resoconto dei fatti: verifica le intenzioni e referta le circostanze, imbriglia le azioni e assume l’ordine delle responsabilità, avvilisce per difetto le sue ragioni e per eccesso adopera le retrospezioni della memoria, per dare alle cose la verosimiglianza di un ultimo atto tragico. E allora in Sonia Riotta (nella sua “vera storia”, come recita il sottotitolo del libro, deliberatamente protocollare) c’è il candore spaventevole e numinoso del fato, dell’iscrizione destinale di ogni atto umano nel disordine del mondo.

Ma perché qualcuno possa raccontare una storia è necessario che abbia assistito ai fatti: nel momento in cui stipula il contratto di veridizione con il lettore, il narratore afferma, più o meno implicitamente, di avere partecipato alle vicende che si accinge a narrare. Sonia Riotta ha più che assistito: è lei stessa la vicenda, il punto di vista, la focalizzazione (resa per converso più estrema dalle architetture sintattiche del romanzo). Ora, accade proprio che questa scelta in prima persona – che all’apparenza traduce i fatti e ne certifica i moventi – sia non la prova di una verità ma il resoconto delle omissioni e delle false rappresentazioni di realtà; che sono vere, nei termini della verità sensibile di ciascuno di noi, ma non altrettanto oggettivamente verificabili. La realtà è proiettiva e risiede altrove, e non è un caso che il titolo del romanzo – Reiko – faccia riferimento a una deuteragonista la cui sostanziale lateralità non sconfigge la posizione che assume nei termini di uno svelamento dalle ombre rituali e dalle occasioni irreggimentate.

Reiko - che è bizzarra e singolare, con i tratti fanatici ed elusivi della maschera – proprio per la sua natura teatrale e romanzesca è il personaggio della verità, ma non è la protagonista del racconto, che per ciò stesso si svolge alle trame di una dinamica sconcertata dalle passioni del corpo e dai tradimenti della coscienza. Dedicandole il libro, Renato Schembri conferma con l’esplicito l’implicito e confonde i piani, e tuttavia agisce su un piano di realtà analitica; inizia il libro dalla fine della storia e rende i fatti non più vivi (in ordine allo spazio e al tempo) ma enunciati e retroattivi come elementi di un tentativo d’incastro che deve dare una forma possibile alla vita. Laddove Schembri suggerisce il realismo delle cose, in verità racconta del desiderio di trasformazione dell’uomo, che non riproduce la vita ma la teatralizza, dando ai personaggi la proiezione dei diversi stati d’animo della protagonista. Loro sono come sono – tranne che per Reiko, appunto – in quanto lei ne accondiscende le maschere, e, quando non vorrà più farlo, finirà per compiere il suo piano di verità, inammissibile e punito. E in questa condizione c’è un richiamo all’ultima produzione drammaturgica di Luigi Pirandello, soprattutto al dramma Non si sa come, nella presa di consapevolezza, terrificante, dell’impossibilità di controllare gli istinti irrazionali e dunque nell’inclinazione con cui si possono commettere delitti, anche se «innocenti» perché non voluti.

Per dare ulteriore robustezza al libro, Renato Schembri utilizza uno stile che congela gli azzardi retorici della trasmissione viscerale di sé; la sua scrittura è analitica e piana, sottotestuale e rigorosa, radiografando le geometrie dei sentimenti con un’ipnosi elencatoria e nominale come se i fatti, privati dell’intensità che li ha presieduti e mossi, fossero semplici cose che esistono perché sono accaduti, e niente altro. È l’immagine straordinaria della protagonista, che pare dica tutto con la distanza atona e spenta di chi esegue una stenografia, raccontando però la carne viva del dolore e del tradimento, la disperazione degli inganni e i cedimenti della coscienza. Nel suo universo concentrazionario sfilano persone che eludono le presunzioni della grazia, involvendo fino alla parodia; e se il piano pubblico di alcune vicende (che si svolgono ad Agrigento, in Sicilia, che «è solo per avventura Sicilia; perché il nome Sicilia mi suona meglio del nome Persia o Venezuela») si interseca con il piano privato, arrivando in certi passaggi a pensare allo stesso libro come a un romanzo civile, è perché – con qualche reminiscenza deleuziana – il privato è politico, e le aberrazioni della vita pubblica sono gli sfiati degradanti dell’anomia privata, sottomessa ai desideri della mediocrità.

«Io ero, in quell’inverno, in preda ad astratti furori. Non dirò quali, non di questo mi son messo a raccontare. Ma bisogna dica che erano astratti, non eroici, non vivi; furori, in qualche modo, per il genere umano perduto»: è l’inizio – straordinario – di Conversazione in Sicilia del siciliano Elio Vittorini. Ci ho pensato a lungo leggendo il libro di Renato Schembri perché mi sembra – e non in termini chiari, riassunti a una precisa consapevolezza, ma per una specie di transfert assurdo, per una risonanza di commozione – che questo suo splendido romanzo sia l’indagine di un punto di non ritorno in cui gli astratti furori si sono fatti concrezioni dell’ordinario, accadimenti plausibili, e che dietro le grandi ferite non vi sia altro che la mera accidentalità delle cose e la noia delle passioni; e le stesse situazioni esistenziali della protagonista – l’erotismo trasgressivo, una forma di ebbrezza infantile, il sacrificio della maternità -, che la pongono in una condizione di intimità con gli altri, si risolvono nell’ammissione di un dialogo inautentico, che vede nell’atto umano più brutale – il meno appellabile al perdono - il seme doloroso di una verità che finalmente libera ciò che ha costretto alla pietà per se stessi.

Beniamino Biondi scrittore e saggista






L'autore


Renato Schembri  è nato nel 1965, originario di Naro (Ag),

vive ad Agrigento con la sua famiglia. Lavora come psicoterapeuta (si è formato all’Università “La Sapienza” di Roma), pubblica articoli di psicologia in riviste specialistiche, è conduttore e relatore in corsi e convegni di psicologia.

Ha pubblicato: “Reiko”, romanzo, Il Lunario, 2003; “Vecchie conoscenze”, racconto, in “Margini”, Navarra Editore, 2006; “Il Parco”, raccolta di racconti, Narcissus, 2013;

“Stagioni del silenzio”, romanzo, Ottolibri edizioni ,2014; “Canberra”, romanzo, Alessandro Accurso Tagano Editore, 2020.

www.renatoschembri.i